I motivi di critica, comunque, non si limitarono al soggetto, ma si estesero alla tecnica pittorica adottata da Manet, che veniva accusato di non aver saputo usare né la prospettiva né il chiaroscuro, cioè quelli che erano ritenuti i due strumenti principali del pittore. Lo stesso Eugène Delacroix, indiscusso patriarca della pittura romantica, affermava che nella Colazione sull’erba
la tinta stridente penetra negli occhi come una sega d’acciaio e che i personaggi si stagliano tutti d’un pezzo con una crudezza che nessun compromesso addolcisce ha tutta l’asprezza di quei frutti che non matureranno mai.
Osservando il dipinto vediamo come personaggi e sfondo siano trattati in modo diverso, quasi che i primi siano ritagliati e incollati sul secondo, come se si trattasse di figure prive di un volume e di una consistenza propri. Il senso della profondità prospettica, del resto, non è dato dal disegno, ma dai piani successivi degli alberi e delle fronde, posti gli uni sopra alle altre come in una quinta teatrale, creando zone di luce e di ombra più per sovrapposizione che grazie alla tecnica del chiaroscuro.
Infine i colori sono stesi con pennellate veloci, giustapponendo toni caldi e freddi in modo da creare quel contrasto simultaneo che li rende reciprocamente più vivaci e squillanti.
L’atmosfera del dipinto è pertanto fresca e luminosa. Con esso Manet si proclama dunque pittore di sensazioni, non più di personaggi o di allegorie, e ciò gli vale a conquistarsi, oltre alle critiche scontate degli ambienti artistici ufficiali, anche l’ammirazione di quelli che saranno gli artisti della nuova generazione e che da allora lo considereranno il vero e proprio ispiratore dell’Impressionismo.
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