Arte e pittori

Picasso e la guerra è uno dei binomi di maggior forza espressiva della storia dell’arte del ‘900 che ha dato origine a veri e propri manifesti artistici contro gli orrori della guerra come “Guernica”.
Nel corso della storia dell’arte ha sempre rivestito un ruolo centrale la pittura di carattere storico, che raffigura il tema della guerra. Infatti spesso i pittori ritraevano le imprese militari e i campi di battaglia dove si svolgevano, e questo avvenne principalmente a cavallo del XVIII e XIX secolo, durante l’età napoleonica. Nel 1900, però, uno degli artisti che dedicò tanta parte delle sue opere al tema della guerra fu Pablo Picasso.

Picasso e il periodo dei mostri

Da metà degli anni venti, inizia con “La Danza” il periodo “mostruoso” di Picasso, che non è altro in fondo se non una rappresentazione figurativa delle abnormità del nostro secolo, che allora nessuno voleva o sapeva vedere. Con Guernica, nel 1937, questa serie di tele raggiungerà la sua vetta più alta, dimostrando nello stesso tempo la forza profetica che questi quadri avevano avuto fin dall’inizio.

Ma prima che la serie di figure simili a mostri prenda il sopravvento nell’opera di Picasso, l’artista tira le somme, in singoli quadri, delle sue tele cubiste degli ultimi anni.
E sono di nuovo rappresentazioni di figure, nelle quali fissa le conclusioni alle quali è arrivato: L’Atelier d’una modista del 1926 e Il Pittore nel suo atelier del 1926-27.

Nella prima opera, tenuta esclusivamente su toni grigi, il quadro è suddiviso da una serie di curve così che le singole parti vengono ad essere incastrate l’una nell’altra come i pezzi d’un intarsio.
Ne risulta una composizione in cui il piano detiene un ruolo dominante, poiché sia dal gioco delle linee come dalla mancanza di contrasti cromatici ne viene accentuata la qualità di superficie.

Il Pittore nel suo atelier spinge ancora più oltre il concentrarsi dell’immagine sulla superficie: una cornice dipinta accentua questo carattere di piano appunto, e dentro il piano l’artista pone dei segni che non evocano mai un senso di spazialità, essi stanno sulla superficie come dei geroglifici: il pittore, il suo quadro e il suo modello (cioè una tavola con una tovaglia rossa, una coppa piena di frutta ed una testa di gesso), il tutto posto contro la parete posteriore della stanza, con qualche accenno ad una porta, ad una finestra, ad uno specchio. Tutto ciò fa pensare a una pittura murale, e invero in questi anni l’interesse di molti artisti quali Léger, Le Corbusier, Ozenfant, era rivolto a fondere le acquisizioni del cubismo con l’architettura, creando una pittura murale che partiva dal linguaggio formale del cubismo e che, per la sua unione con l’architettura, finì per arrivare ai confini dell’arte astratta.

È un fatto sorprendente nell’arte di Picasso, e un aspetto caratteristico che rende ogni sia pur ripetuta contemplazione affascinante ed eccitante come la prima volta, che gli elementi del suo linguaggio vengano usati sempre di nuovo posti in nuove relazioni, per scopi sempre diversi.
Le stesse linee ondulate fluenti che nell’Atelier della modista evocano un’impressione di armonia e grazia, sono anche gli elementi basilari del quadro La Donna seduta del 1927, una delle prime opere del periodo “mostruoso”.
Qui il compito ed il significato delle linee sono del tutto diversi. Insieme ai colori penetranti e violenti tendono a esprimere, a definire un senso di oppressione: racchiudono senza scampo le forme del corpo della donna evocando uno stato di costrizione, aiutate in ciò anche dalla disposizione della figura nello spazio. Non è lasciata, a questa figura seduta, nessuna libertà di cambiar posizione o di alzarsi: ha appena la possibilità di stare seduta come stesse in una gabbia, e il senso della carcerazione è di tutti i dipinti di questo tempo.

Il volto, inoltre, stagliato contro una forma più scura che è anch’essa parte della testa, accentua l’effetto di oppressione e d’angoscia: è simile ad una gorgone volta nella direzione opposta allo spettatore, ma con un altro occhio situato in quella chiazza più scura sembra guardare, fissare lo spettatore. Con questo quadro opprimente inizia come si è detto la serie delle figure-mostro agli antipodi degli ideali d’armoniosa bellezza, che oppongono alla bellezza, ormai divenuta una menzogna, sembianze demoniache che sono chiaramente vere, effettuali e per molti versi anche profetiche.

Picasso e la visione profetica del suo tempo

A quest’opera segue tutt’una serie di figure mostruose: il gruppo di quadri con bagnanti che gesticolano nei loro costumi a righe, creato a Duiard nell’estate del 1928. Altro quadro della serie è la Testa di ragazza del 1929, concepita come un monumento in grande scala, i cui tratti taglienti sono sagomati contro il cielo ed i cui denti mandano dall’alto un minaccioso balenio.

Dello stesso anno è il quadro forse più angoscioso di tutta la serie: la Donna seduta sulla spiaggia. Qui l’immagine umana è mutata in quella d’una ma china che non conosce che una funzione: attaccare e distruggere. La figura fa ancora pensare ad una figura umana, ma le sue caratteristiche specifiche sono trasformate in elementi di macchine: la bocca è una tenaglia dentata, le braccia sono meccanismi prensili.
Di nuovo Picasso ci mostra una visione profetica del suo tempo, e il tempo gli ha dato ragione proprio su quel punto che i contemporanei si rifiutavano di vedere: la massima parte delle mostruosità del periodo iniziato intorno al 1929 sono state commesse perché l’uomo si è troppo spesso degradato a macchina, e con la perfezione tecnica di una macchina ben funzionante ha commesso atti d’omicidio, d’aggressione, di distruzione.
Picasso aveva presentito e compreso questa fase della nostra storia, si era mostrato un profeta, ma anche un moralista che aveva capito gli errori del suo tempo e, nella sua solidarietà umana, non aveva esitato a rappresentare in una forma grandiosa e spesso apocalittica questi pericoli e queste minacce che gli si ergevano davanti allo spirito.
La Donna seduta sulla spiaggia è nella sua terribilità un punto estremo che Picasso non ha sorpassato neanche nelle sue visioni più angosciose.

Le sculture di Picasso a Gisors

La tappa che poi egli compie nel 1930-31 rappresenta un rinnovamento totale, un successivo orientamento della sua opera. Nel 1930 compra il piccolo castello Boisgeloup presso Gisors, a nord di Parigi, e si accinge, con l’aiuto del suo amico Julio Gonzales a farne un atelier per scultori. Egli aveva, già prima del 1930, intagliato delle immagini in piccoli pezzi di legno o modellato costruzioni tridimensionali di fil di ferro, ma sentiva ora il bisogno, che possiamo scorgere chiaramente anche nelle pitture (ad esempio nella Testa di ragazza) di lavorare con materiale solido e corposo.
Sono di questi anni le sue sculture in ferro in cui vediamo una strana metamorfosi di forme: piani metallici suggeriscono membra umane, costruzioni fatte con sottili sbarre evocano un forte senso spaziale. Anche in questo tempo, ma con uno spirito del tutto diverso, nascono le grandi teste massive e che mostrano l’ambizione di Picasso di realizzare un’opera scultorea in tutta la forza della terza dimensione.

Le sculture di ferro che crea con l’aiuto di Julio Gonzales, lo scultore-fabbro, hanno un significato del tutto diverso: sono piuttosto disegni nello spazio evocanti una molteplice complessità di forme, che aprono dunque possibilità di ulteriore sviluppo sia alla pittura che alla scultura.

Picasso e la guerra attraverso la mitologia

Attraverso il significato che in queste opere assume la metamorfosi possiamo capire come Picasso contemporaneamente sia stato attratto dall’idea di illustrare appunto le Metamorfosi di Ovidio.
Le illustrazioni di Picasso sono improntate a uno stile quasi classico, si avvalgono di linee sottili e tese, come possiamo trovare in disegni dell’inizio dell’Ottocento, con in più una grande mobilità e flessibilità che contrasta con la loro tensione in maniera stupenda.

Le illustrazioni alle Metamorfosi, grazie al loro stile classico e alla loro perfezione grafica, appaiono per così dire come un punto di arrivo, e sono tutta via l’inizio di una nuova fase nell’arte di Picasso non tanto riguardo ai mezzi espressivi quanto in un senso umano e sociale.
Esse infatti significano in sostanza che Picasso occupandosi del problema della mitologia (in una sorta di rifiuto ai molti e irritanti avvenimenti che aveva di fronte) è alla ricerca di una soluzione che si sottragga alla casualità del vivere quotidiano e che abbia una validità umana universale.
Così aveva fatto negli anni venti, quando dalla nascita del figlio aveva tratto motivo per la serie dei quadri sul tema della maternità, trasfigurando dunque quell’accadimento individuale in un simbolo universalmente umano. Altrettanto fa ora per avvenimenti che non turbano solo lui, ma che sono causa di analogo smarrimento e angoscia per gli spiriti più chiaroveggenti.

Per questo accadere, per quest’ombra che cominciava a minacciare l’umanità egli trova simboli figurativi che con la medesima chiarezza dei racconti d’Ovidio pongono davanti agli occhi dello spettatore una verità umana in forma metaforica. La mitologia personale di Picasso prende, a partire dal 1934, una forma chiara.
Egli aveva cercato una strada nelle illustrazioni per le Metamorfosi, aveva approntato uno schizzo per una crocifissione con l’intento di trovare in questo modo un linguaggio capace di esprimere avvenimenti drammatici, angosciosi. Ma la soluzione venne alcuni anni dopo, e sorti dalla realtà, dalla sua’ realtà.

Nel 1934 è di nuovo in viaggio nella Spagna, ove trova, come sempre, il tema a cui affidare tutte le emozioni che sentiva nell’anima, un tema in certo modo familiare, per averlo trattato nei primi anni intorno al 1901: la corrida, il tema spagnolo per eccellenza.

Sempre nel 1934 dipinge a Boisgeloup una serie di tele con questo soggetto in cui il momento drammatico, la lotta, tiene il posto centrale, dove ai sentimenti come la forza bruta, il terrore e l’impotente compassione è data una rappresentazione figurativa che afferra direttamente lo spettatore.
Nell’anno successivo questo soggetto acquista un significato immediatamente mitologico. Nell’opera di Picasso appare la cupa figura del Minotauro, l’uomo-toro, e nella magistrale acquaforte di quest’anno vediamo il suo gesto essenziale. Egli si protegge gli occhi dalla luce d’una candela che una piccola ragazza gli porta incontro. Inoltre, in questo foglio sono stati assimilati una quantità di tratti e di figure che compaiono negli schizzi di corride dell’anno precedente: la trasposizione mitologica è la novità del 1935.

Picasso e la guerra civile spagnola

Nel 1936 la mitologia diviene realtà, scoppia la guerra civile spagnola. Il Minotauro non si limita a schermare gli occhi dalla luce ma la spegne dovunque la scopre e abbatte i portatori di questa luce dovunque li trova.
Picasso, che come uomo e come spagnolo fu doppiamente colpito da questa violenza, prende subito posizione per il legittimo governo repubblicano, che lo crea direttore del Museo del Prado. Il governo gli affida la custodia dei tesori artistici nazionali della Spagna.

Proprio in questo tempo egli teneva una mostra viaggiante nella stessa Spagna, organizzata dall’amico Paul Eluard, che aveva scelto le opere, e questo deve avere ancora aumentato il suo attaccamento alla patria.
Gli avvenimenti in questo paese, che egli sente sempre come suo, lo aiutano a liberarsi dalla depressione ed a tornare in se stesso. Prendeva origine, questa depressione, da fatti della sua vita privata, e per quasi tutto un anno gli permise appena di dipingere.
In questo periodo scrisse, a Boisgeloup, alcune poesie che mostrano chiaramente come la sua immaginazione potesse assumere non solo forma visiva ma esprimersi anche con le parole.
Da questo fuggire se stesso venne strappato come si è detto dagli avvenimenti spagnoli.

All’inizio del 1937 interviene per la prima volta nella guerra civile pubblicando i suoi fogli incisi Sueño y mentira de Franco (Sogno e bugie di Franco), dove per la prima volta dirige la sua immaginazione mitologica contro la figura dell’usurpatore e contro la tragedia che egli stava causando.
I fogli, suddivisi come le stampe popolari in nove quadri nei quali si svolge il torvo racconto, sono accompagnati da un testo satirico di Picasso, che non mentisce.
Sono forse stati questi fogli a indurre il governo ad affidare a Picasso l’incarico di creare una grande pittura murale nel padiglione spagnolo dell’Esposizione Mondiale del 1937 che doveva aprire i battenti nell’estate. Sappiamo che Picasso in aprile non aveva ancora cominciato ad attendere a questo lavoro.

Il bombardamento di Guernica e la reazione di Picasso

A quel momento (28 aprile del 1937) data un fatto che scosse profondamente tutto il mondo civile e che fu per l’artista un duro colpo.
Il bombardamento in un giorno di mercato della cittadina di Guernica, la capitale tradizionale della regione basca, ad opera di aerei della Germania nazista al servizio di Franco.
Questo fatto d’armi della coalizione fascista fu il primo bombardamento terroristico, volto non contro soldati nemici ma contro cittadini indifesi, contro donne e bambini.
La reazione di Picasso fu una reazione umana, più che politica, più quella d’un moralista che di un uomo di partito. Il primo maggio cominciò gli schizzi per la grande tela che egli doveva dipingere nel suo atelier di rue des Grands Augustins all’inizio di maggio.

I primi disegni contengono l’intera raffigurazione mitologica, quale appare in quest’opera così vasta e monumentale: il cavallo morente, il toro, il guerriero morto e la donna in fuga.
E una delle prime parti eseguite in colore a olio lascia chiaramente vedere che la rabbia trattenuta, che l’odio così forte da mozzare il respiro per un atto tanto vile non hanno perso nulla della loro intensità dall’inizio fino al compimento della tela.

A partire dal primo disegno, benché l’intenzione e lo spirito siano rimasti immutati, l’opera è passata attraverso varie trasformazioni.
Le posizioni delle figure l’una rispetto all’altra sono diverse, il corpo del toro è rivolto di un mezzo giro, e anche il guerriero morto ha seguito il cambiamento di ritmo. A Picasso interessava di esprimere la sua allegoria in una forma universale e questa forma egli la trovò ben presto, durante il lavoro: era il triangolo, che ricorda i frontoni dei templi greci.
Nel triangolo egli dispone le figure mitologiche, con il guerriero morto come base della composizione, e le altre figure, la donna che fugge dalla sua casa in fiamme, l’altra donna con il bambino morto, il toro che solleva fieramente la testa, formano i lati ed il contenuto del triangolo, di questa grande superficie che possiede la forza drammatica di antichi frontoni di templi e che nella sua concezione del destino umano ha un modo alquanto simile ad essi di costituirsi.

In Guernica, che insieme alla Fontana di Mercurio di Calder e ad un’opera di Julio Gonzales dava al padiglione spagnolo il suo carattere così appassionato, Picasso non ha rappresentato il fatto singolo del bombardamento, ha invece elevato questo avvenimento nella sfera dell’universale, a livello mitologico, come aveva fatto prima, nella serie dedicata al tema della maternità.
È difficile leggere quest’opera, e il significato simbolico di alcune figure, e soprattutto del toro, è stato oggetto di estese discussioni.

Non è l’opera di un politico, e direi neanche di un pittore impegnato politicamente, come certamente lo è Picasso, ma soprattutto di un grande creatore di miti, che attribuisce a degli errori fortuiti un significato universale. Questo quadro, in tutta la sua forza lapidaria (che scaturisce dall’icasticità delle grandi superfici, dove il colore ha ben poco posto, ridotto com’è praticamente a grisaille) non è tanto un atto d’accusa contro Franco e contro la sua trista cricca, quanto invece un lamento per la libertà assassinata, per la vita libera ed indipendente, contro gli oppressori e gli assassini.

Quanto Picasso avesse avuto ragione nella sua visione profetica, dimostrò ben presto la storia. Negli anni seguenti l’importante non fu tanto Franco e il modo crudele in cui Guernica era stata distrutta, ma ciò di cui Franco e Guernica erano il simbolo: il male, lo scatenamento di forze oscure.
Guernica fu solo il primo passo su una strada costellata di nomi come Varsavia, Rotterdam, Coventry, Sidice, Auschwitz e tanti altri che per gli uomini del nostro secolo suonano carichi di maledizione.
Picasso è una delle poche grandi figure della sua generazione che non solo riconobbe questo lato della storia del suo tempo ma lo riconobbe tempestivamente e cercò di avvertire l’umanità.

Dovette sentirsi come uno di quei profeti dell’Antico Testamento, che vengono spinti a parlare talvolta anche contro voglia.
Per questo è così illuminante l’aneddoto che riassume l’atteggiamento di Picasso durante la guerra.

Agli ufficiali tedeschi che venivano a trovarlo, distribuiva cartoline con la fotografia di Guernica, e alla domanda sorpresa dei visitatori: « L’ha fatto lei questo? », dava la lapidaria risposta: «No, l’avete fatto voi », la risposta d’una sfinge o d’una delle Parche.

Guernica è il coronamento della fase mitologica dell’artista, una sintesi di tutte le opere a partire dal 1934, che ha dato inoltre luogo ad una serie di opere particolari, che Alfred H. Barr ha definito come « post scripta a Guernica » e di cui La Donna piangente con la sua espressione di furia infinita e di tragico dolore, è probabilmente la più potente. Quest’opera, nella sua forza e immediatezza, è stretta parente del primo schizzo, quello della testa del cavallo morente.

Nei due anni successivi, nel 1938 e nel 1939, domina ancora lo stato d’animo apocalittico, e ce n’era ragione. La falsa pace di Monaco, i fatti della Cecoslovacchia sono avvertimenti precorritori.
I quadri con figure di questi anni, come La ragazza col gallo o il ritratto della figlia Maia con una bambola, continuano il periodo mostruoso iniziato intorno al 1930, ma ormai i mostri non sono più spauracchi profetici, bensì parti di una realtà quotidianamente visibile.

L’occupazione della Francia: le figure femminili e le nature morte

Durante l’occupazione della Francia, tempo di oppressione e di silenzio, Picasso fu a Parigi, ritirato nella solitudine del suo studio, tutto concentrato sul lavoro.
Sono due i temi che tratta: la serie delle figure femminili è suggestiva, soprattutto per l’atteggiamento della modella: una giovane donna sempre diversamente vestita siede in una poltrona, posta talora in qualche punto centrale d’una stanza, ma per lo più in un angolo. E quando si descrivono questi quadri dicendo: la giovane donna siede in una poltrona, non si coglie l’essenziale: essa non siede nella poltrona, vi è stretta, imprigionata fra la spalliera ed i due braccioli, vi è bloccata come su una sedia elettrica.

Lo stesso senso di prigionia, dell’impossibilità di liberarsi da una gabbia, che solo in seconda linea è anche una poltrona, viene espresso pure nelle mani strette convulsamente, nella torsione stravolta della testa rispetto al corpo, nella posizione della poltrona in un angolo della camera, da dove non è pensabile scampo alcuno.
Il mondo di questa serie, di cui alcuni esemplari come la Donna con il cappello col pesce sono testimoni d’uno strano umorismo patibolare, è un mondo di disperazione, esprime precisamente lo stato d’animo che dominava la Francia in quegli anni.

L’altra serie, quella delle nature morte con teste di toro, partendo da una determinata interpretazione di Guernica, si può intendere come un altro post scriptum a questo capolavoro: del fiero toro della grande tela è rimasto solo il cranio, le cui corna, minacciose ancora e pericolose, sembrano forare lo spazio di una camera immersa in una paurosa luce violetta e crepuscolare. La minaccia che ciascuno in questi anni sentiva incombente fu fissata e resa visibile da Picasso con alcuni motivi quali l’atteggiamento d’una figura o due mani intrecciate fra di loro. In questo modo egli non è stato solo un cronista del suo tempo ma una delle figure che hanno foggiato l’immagine di un secolo.

La liberazione di Parigi

Mentre si teneva la mostra a Parigi però, l’arte di Picasso aveva già fatto un altro passo in avanti. E caratteristico del modo in cui soleva trovare interpretazioni figurative per gli avvenimenti che si svolgevano sotto i suoi occhi, che egli, nei giorni eccitanti della liberazione di Parigi, abbia fatto una copia libera del Baccanale di Poussin, una tela che per il suo modo di sentire era l’espressione più adeguata della gioia esuberante di quel momento. In seguito, ripensando agli anni della resistenza, scelse il suo partito: divenne membro del Partito Comunista Francese. Fu in relazione a questo fatto che ebbe luogo l’intervista, di cui all’inizio di questo scritto abbiamo riportato un frammento:

« Cosa crede che sia un artista? Uno stupido che quando dipinge ha solo gli occhi, quando scrive musica solo le orecchie, che porta una lira in ogni profondità del cuore quando è un poeta o che è tutto muscoli se è un pugile? Al contrario, egli è un uomo interessato e partecipe anche alla politica, che è ben conscio del convulso crescere e degli stupendi avvenimenti del mondo, e che vi risponde con tutto il suo essere. Come è possibile rimanere insensibili di fronte agli altri uomini, o separarsi in arrogante indifferenza dalla vita? No, la pittura non è stata creata per adornare abitazioni, essa è un’arma nell’attacco, una difesa contro il nemico ».

La produzione artistica di questi anni ha uno stretto rapporto con questa dichiarazione e con l’atteggiamento interiore da cui essa ha preso origine. In primo luogo abbiamo quel quadro terragno di un uomo con un agnello, un’opera che dà al tema del buon pastore una forma nuova, laica e che diviene una testimonianza del legame eterno fra l’uomo e l’animale.

Sempre del periodo successivo alla liberazione abbiamo una serie di nature morte che culmina in quella tela stupenda che raffigura una brocca, un candelabro ed un tegame smaltato di blu posti su una tavola di legno. Questo quadro, di una sobria e nobile armonia, deve la sua vitalità alla dignità che Picasso infonde nelle cose più semplici della vita quotidiana, o meglio, al fatto che egli ce li mostra nella loro vera dignità. Quasi ognuno, durante gli anni della guerra, nella solitudine o in un nascondiglio, aveva scoperto la dignità di singoli e semplici oggetti che spesso erano gli unici compagni, la sola consolazione, i sostituti di amici e famigliari. Picasso ha mostrato questi tre oggetti sulla tavola proprio in questo significato dobbiamo usare ancora una volta la parola mitologico, e ha creato così una delle sue nature morte più affascinanti.

Per raggiungere questo effetto di venerabile semplicità si è servito d’un metodo che risale al cubismo e che conosciamo soprattutto dalle nature morte create intorno al 1930: una tecnica che per le sue forti linee nere ricorda l’arte delle vetrate, con le loro superfici di vetro colorato incorniciate ciascuna da grosse linee nere, di piombo.

Una tecnica simile caratterizza anche un’altra serie, pressapoco dello stesso periodo, quella delle vedute parigine. Ciascuna di queste tele è un omaggio all’eroica città, che per miracolo era scampata all’annientamento, e che Picasso riscopre di nuovo in tutta la sua bellezza: l’isola con la Cattedrale di Notre-Dame nello sfondo, il verde parco sulla punta della Île de la Cité, coronato dal monumento a Henri IV.
In alcune di queste tele raggiunge la fiammeggiante forza di vetrate medievali, soprattutto con il limitare, come fa talvolta, la sua tavolozza ad un solo colore, per esempio a diverse gradazioni di blu. Il porsi dei limiti, anche in campo tecnico, avrà in questo tempo un ruolo importante nell’opera di Picasso

Picasso e la guerra in Corea

Questa giocosa ricerca inventiva venne presto disturbata, come era accaduto già prima, dagli avvenimenti del mondo che costrinsero l’artista (l’artista come egli stesso l’aveva descritto) a prendere una posizione ed a proclamarla: scoppia la guerra di Corea, e la reazione di Picasso fu il suo quadro Massacro in Corea.
Ancora una volta, come per Guernica ed altre opere simili, il quadro non diventò un manifesto politico. Egli non si fece partigiano di una delle due parti, alzò invece la sua voce contro il male, e in una maniera assai spagnola. Infatti basò la sua composizione sulla Fucilazione del 3 Maggio 1808 di Goya. In quest’opera Goya aveva messo alla gogna l’annientamento della libertà per mezzo della forza bruta. Solo che nel dipinto di Picasso le vittime non sono dei ribelli. Il loro gruppo consiste di donne nude e di bambini che giocano, ciò che dà alla contrapposizione un altro accento ancora. Ma l’analogia con Goya la scorgiamo anche in un altro campo.

I murali di Picasso a Vallauris

Da questo stato d’animo sono sorti questo quadro e gli altri due creati nell’anno seguente. Questi sono due enormi, monumentali pitture murali che coprono le pareti laterali di una vecchia cappella a Vallauris, che il Municipio lo aveva incaricato di mettere in ordine e di cui egli voleva fare un « tempio della pace ». Proprio davanti alla cappella, nella piazza è posta la sua scultura L’uomo con l’agnello che egli aveva regalato al Municipio. Le due grandi tele formano una contrapposizione fra l’armonia, l’eterno sogno di Picasso, e l’orrore di cui spesso aveva avuto esperienza. Nel quadro che ha come soggetto la guerra, compare un carro apocalittico, tirato da cavalli infernali, da cui piove morte e rovina contro un guerriero in piedi, che si difende con uno scudo da questo assalto. Il quadro è eseguito in colori violenti e dissonanti, nei quali nero e un verde velenoso contrastano con un rosso sangue.

L’altro dipinto che rappresenta la pace alla parete opposta ci fa vedere un mondo dove tutto è possibile: il simbolo centrale è un cavallo alato, l’antico Pegaso che significa la poesia ed il mito, e lo guida un fanciullo che ne tiene le redini. Intorno una quantità di figure che ricordano da vicino la grande pittura Gioia di vivere (come il suonatore di flauto a sinistra) formano una scena idillica davanti ad uno sfondo blu: una parte immersa in una calma contemplazione (il lato apollineo di quella felicità), un’altra invece protesa in una danza estatica, che fa come da contrappeso al momento della contemplazione; e nello stesso tempo eleva i due lati della concezione della vita di Picasso in una sfera mitologica.

Anche in queste ultime opere, come in Massacro in Corea, troviamo la sua risposta alla domanda sul perché egli rappresentasse le scene orribili dei Disastri della guerra:

«Per avere almeno la soddisfazione di esortare continuamente gli uomini a non essere dei barbari ».

 

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