L’Arte dell’Impero: l’arte di tutti
Tale atteggiamento sarà una costante anche durante il periodo imperiale, sebbene già esistesse allora una vera e propria arte romana.
Quest’arte si manifestò soprattutto in quelle forme che rientravano nelle regole della tradizione e cioè nel ritratto, che eternava realisticamente le fattezze degli antenati, nelle grandi opere pubbliche realizzate per l’utilità comune e dello Stato, nei rilievi e nelle architetture onorarie aventi la funzione di celebrare un evento o un personaggio particolare.
Infatti inizia in questo periodo la grande rivoluzione delle tecniche dell’arte: ampi studi ingegneristici ed elaborati piani architettonici. La nascita dell’Arco a tutto sesto e della Volta, lo studio quasi maniacale delle murature e delle tecniche laterizie, le leggi matematiche e le regole idrauliche nei meravigliosi acquedotti.
È anche per il prevalere dell’interesse dello Stato su quello dei singoli cittadini che difficilmente viene ricordato il nome dell’artefice di un manufatto artistico, tanto che, la maggior parte, l’arte romana è anonima.
Quando, allora, ci si troverà a parlare di grandi personalità artistiche sconosciute verrà adoperato il termine «Maestro» .
Il filosofo Seneca (ca 4 aC-65 dC) ripeterà ancora gli artisti sono «dispensatori di lusso». Il poeta latino cristiano Prudenzio (348 dc-413 dc) nella sua Contra Symmacum , trattando di dibattuta questione riguardante l’altare della Vittoria, arrivò a dire che tre erano i mali di Roma: il paganesimo, la letteratura e le arti figurative.